Onorevoli Colleghi! - La profonda crisi in cui è caduto il «sistema giustizia» di numerosi Paesi occidentali ha fatto crescere l'interesse degli operatori del diritto nei confronti dei metodi di soluzione alternativa delle controversie, ossia quelle procedure di conciliazione intese a mettere in contatto le parti al fine di addivenire a una soluzione autodeterminata dei conflitti.
      In diversi Paesi, e in particolar modo in quelli di area anglofona, tali tecniche sono ampiamente diffuse da anni e sono indicate con l'espressione alternative dispute resolution (ADR).
      In particolar modo l'esperienza americana ha dimostrato la capacità di queste tecniche di dare risposte efficaci alla complessa struttura della società moderna, che non riesce più ad accontentarsi della tradizionale amministrazione della giustizia, che implica tempi lunghi e procedure costose, ma necessita di strade più veloci, economiche, semplici e vicine alle esigenze dei soggetti coinvolti nel conflitto.
      Nella società contemporanea è divenuto sempre più difficile soddisfare la crescente domanda di giustizia dovuta al moltiplicarsi dei rapporti economici, all'allargamento delle possibilità di sostenere le spese di un giudizio, all'avanzare della coscienza democratica, e la mancanza, in molti casi, di risposte si è automaticamente tradotta in fenomeni di denegata giustizia.
      La giustizia italiana si trova in un perenne e sempre maggiore stato di difficoltà che è stato messo ancora più in risalto dall'inserimento nella nostra Carta costituzionale dei princìpi del giusto processo; a causa di tale crisi l'Italia è da anni destinataria di numerosi richiami da parte delle istituzioni comunitarie, oltre che di

 

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numerose condanne al risarcimento dei danni provocati ai cittadini per la violazione del principio della ragionevole durata dei processi.
      Nonostante ciò, nel nostro Paese il ricorso a tecniche di risoluzione alternativa delle controversie incontra numerosi ostacoli soprattutto di natura culturale; vi è, infatti, ancora scetticismo nei confronti di una figura diversa da quella del giudice togato, dato che l'amministrazione della giustizia ruota ancora fondamentalmente intorno ad esso. A questo, inoltre, si aggiungono motivi di ordine procedurale, poiché l'architettura attuale del processo, per quanto lenta, macchinosa e dunque «ingiusta», è comunque ritenuta fonte primaria del rispetto delle garanzie giurisdizionali.
      Per tali ragioni con la presente proposta di legge, che trae spunto anche dal lavoro svolto dalla commissione ministeriale presieduta dal professor Vaccarella, si vuole modificare il percorso di conciliazione endoprocessuale introdotto con la legge n. 80 del 2005, che attribuisce al giudice, quando le parti ne facciano richiesta, il potere di fissare un'udienza destinata all'esperimento del tentativo di conciliazione; tale riforma, infatti, che ha avuto il merito di introdurre all'interno del processo civile la possibilità di esperire un tentativo di conciliazione, finisce per aumentare ulteriormente il lavoro giudice.
      La modifica che si intende introdurre, pertanto, è quella di promuovere la conciliazione delegata, in cui il magistrato individua le controversie in cui il conflitto sia acuito prevalentemente da difficoltà di comunicazione, e affida il relativo compito, con un termine perentorio di sessanta giorni per la sua definizione, a un professionista esperto in tecniche di conciliazione iscritto negli appositi elenchi tenuti presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e l'Ordine degli avvocati del tribunale nel cui circondario pende la causa.
      L'introduzione della conciliazione delegata all'interno del processo civile potrebbe, inoltre, contribuire ad abbattere le resistenze di natura culturale e determinare l'effetto di legittimare il ricorso ai vari strumenti conciliativi, favorendone l'inclusione tra i normali strumenti a disposizione degli operatori del diritto.
      Nel dettaglio, l'articolo 1 individua la finalità della legge, che è quella di introdurre e disciplinare la conciliazione delegata da un giudice togato o da un giudice di pace, dinanzi al quale pende un procedimento giudiziario civile di primo grado avente a oggetto diritti disponibili; l'articolo 2 prevede l'introduzione nell'ordinamento processuale della conciliazione delegata, attraverso una riformulazione degli articoli 183 e 185 del codice di procedura civile; l'articolo 3 disciplina le fasi dell'avvio e dello svolgimento del procedimento di conciliazione; l'articolo 4 individua i soggetti autorizzati a esperire il tentativo di conciliazione delegata e prevede l'istituzione dell'elenco dei conciliatori presso ciascuna sede territoriale dell'Ordine degli avvocati, indicando anche i requisiti necessari al fine dell'iscrizione in tali elenchi; l'articolo 5, al fine di garantire la terzietà, l'imparzialità e l'indipendenza del conciliatore, prevede l'obbligo di formalizzare l'accettazione della delega con contestuale dichiarazione di insussistenza di motivi di incompatibilità o di astensione; l'articolo 6 disciplina la liquidazione del compenso del conciliatore delegato; infine, l'articolo 7 prevede incentivi fiscali in favore delle parti.
 

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